lunedì 15 ottobre 2012

"Tutti i santi giorni" di una 33enne che "corre" la sua vita a Roma

Ho visto ieri il film e, complice una notte a tratti insonne, lo sto metabolizzando e butto giù qualche considerazione (avvolta dalle note della bellissima colonna sonora).

La prima è che non succedeva da tempo che, all'uscita dalla proiezione di un film italiano, la sensazione non fosse quel misto - cattivo e cinico - di amarezza, rabbia, ansia, delusione per i tempi che viviamo (raccontati, spesso, attraverso le squallide lenti delle periferie cittadine e della precarietà, di lavoro e di sentimenti); ieri, la sensazione è stata diversa, è stata una specie di "leggerezza consapevole", data dall'idea, realistica ma non retorica, che i sentimenti, quelli genuini ed esenti da certi condizionamenti, possano superare ogni dolore e difficoltà e scavalcare incomprensioni e diversità.
Ho sorriso ripensando che tutte quelle immagini di tribolazioni, ansie, frustrazioni, di lavori sfiancanti in contesti talvolta surreali, di ansie da scadenza e piccole psicosi quotidiane, vengano poi ricomposte nella scena così semplice, ma affatto banalizzata, di un abito bianco e di una festa in famiglia.


L'altra cosiderazione riguarda la scelta dei personaggi, apparentemente agli antipodi: lei grintosa ed energica, a tratti irresponsabile, con un passato a di poco scapestrato, forte solo in apparenza;
lui timido, a rischio asocialità, troppo colto per essere considerato "normale", troppo "personaggio" per mischiarsi con la mediocrità dei vicini, troppo semplice e buono per diventare pedante e presuntuoso. Eppure, quello forte è lui, che ricompone miracolosamente i cocci di una storia frantumata - pur senza un motivo reale - e che non perde mai quel sorriso disarmante e quella purezza dello sguardo.

Ho amato tanto, da donna, le debolezze di lei che mi hanno fatto versare anche qualche lacrima, pensando a quella straordinaria e magistrale capacità, che solo noi donne abbiamo, di dipingerci addosso la maschera della inadeguatezza e di nutrire disagi inenarrabili perchè ci sentiamo "difettose" o perchè c'è ancora chi impone la maternità (a patto che si rispettino certe condizioni e canoni e schemi predefiniti) come parametro di realizzazione femminile.

La considerazione finale riguarda il messaggio del film, condito e pervaso da una nota positiva: in una società che si concede faticosamente al sacrificio, all’altruismo, all’umanità e disseminata da fastidiosa ignoranza, falsi idoli e stereotipi di ascesa sociale, è stato bello vedere due personaggi autentici, il cui solo obiettivo sembra essere quello di vivere con coerenza le proprie passioni (lui si dice soddisfatto del lavoro che fa perchè gli consente di leggere i libri in latino ed ascoltare Beethoven in filodiffusione e spinge lei a suonare, seppure in un discutible pub di periferia arredato con i mega-schermi per le partite), di innaffiare con le piccole attenzioni quotidiane un amore reale e di bastarsi a vicenda, in un bilocale di periferia, scevri da ossessioni e manie.

E mentre tanto grigio mi circonda, è bello sapere che, nonostante tutto, questi non sono solo personaggi perchè le persone e le storie così esistono davvero!

http://www.youtube.com/watch?v=SW-u2RGm-lg

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